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08/09/2023
L’accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 57 del Codice della Crisi delle imprese dell’Insolvenza) è un mezzo di risanamento a cui l’impresa in crisi ricorre per tentare di ridurre l’esposizione debitoria ed assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria. Diversamente dagli accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento (art. 56 CC.II), l’accordo di ristrutturazione è soggetto all’omologazione del Tribunale, ma si tratta comunque di uno strumento negoziale (esso, può definirsi come un accordo formato con un numero di creditori che rappresentino il 60% dei crediti -accordo ordinario- ovvero il 30% -accordo agevolato- o il 75% di crediti omogenei appartenenti alla stessa categoria -accordo esteso- e “certificato” dalla relazione di un professionista abilitato, il quale attesti la veridicità dei dati, nonché l’attuabilità dell’intesa. La sua ratio è di consentire il salvataggio dell’impresa e di sanare la crisi, garantendo ai creditori non aderenti l’integrale soddisfazione del credito. Con l’accordo di ristrutturazione è l’imprenditore stesso che continua a dirigere la propria impresa e – su istanza di parte – il suo patrimonio è assistito da alcune tutele (come il blocco delle azioni esecutive e cautelari), per consentirgli di realizzare il risanamento.
I due istituti condividono l’esenzione dalla revocatoria degli atti, pagamenti e garanzie posti in esecuzione del piano (art.166, co.3 lett d-e l.fall.) nonché l’inapplicabilità, sempre agli atti esecutivi, delle disposizioni penali di cui all’art. 322 co.3 (bancarotta preferenziale) e 323 CC.II (bancarotta semplice).
Tuttavia, le diversità sono notevoli: i piani attestati non rientrano nel perimetro della concorsualità e possono consistere in atti unilaterali del debitore, mentre gli accordi di ristrutturazione sono procedure concorsuali. Inoltre, i piani attestati non prevedono un procedimento, né un controllo giurisdizionale di omologa, non possono dar luogo a posizioni prededucibili, non possono impedire l’avvio o la prosecuzione di azioni esecutive, e non possono essere assistiti da misure cautelari o protettive. In buona sostanza, il vantaggio per l’imprenditore sembrerebbe essere quello che il piano attestato lascia maggiori spazi di manovra ed evita che la situazione di crisi o di insolvenza possa diventare di pubblico dominio.
Negli accordi, invece, l’omologa definitiva da parte del Tribunale preclude una rivalutazione ex novo dei presupposti della stessa da parte di un successivo giudice.
Da un punto di vista dei creditori è verosimile che i creditori prediligano un accordo di ristrutturazione per avere una maggiore efficacia protettiva degli atti compiuti in esecuzione dell’accordo.
Le differenze sia degli accordi di ristrutturazione che dei piani attestati con l’istituto concordatario sono rilevanti: nel concordato preventivo in linea di principio non è possibile alterare le cause di prelazione, mentre con gli aderenti agli accordi si può fare se si opta per la formula ad “efficacia estesa” di cui all’art. 61 del Codice della Crisi d’Impresa. E’ possibile che la maggioranza vincoli la minoranza ma a condizioni ben diverse per il concordato; nel concordato, il debitore subisce sempre uno spossessamento attenuato che negli accordi, invece, è lasciato all’eventualità che vengano emesse misure protettive.
avv. michele de benedittis